di Claudia Canedoli
Nell’epoca delle connessioni internet, dei treni ad alta velocità che collegano Roma-Milano in poche ore, o degli aerei che ci portano senza difficoltà in luoghi altrimenti lontanissimi, nell’epoca dove in pratica ‘tutto è connesso’, suona strano sapere che c’è qualcuno (o meglio qualcosa!) che invece è sempre più isolato. Anzi, il suo grado di isolamento aumenta all’aumentare delle strade, delle ferrovie e dello sviluppo umano. Questi ‘reietti’, per nulla a passo con i tempi si direbbe, sono gli habitat naturali. Dai boschi planiziali, alle praterie erbose fino ai fiumi con le loro zone riparie o le coste marine. Degradati, attraversati, sbarrati si ritrovano ad affrontare il problema dell’isolamento che li tiene lontani dall’altro ‘pezzo’ di natura più vicina. Questo fenomeno è conosciuto come frammentazione degli habitat. E non per niente la frammentazione degli habitat è tra le cinque principali cause di declino della biodiversità, come ci ricorda Edward Wilson con il suo acronimo ‘HIPPO’. Le conseguenze, il grosso problema che attanaglia da decenni i conservatori della natura, è la riduzione degli habitat (sono sempre meno), la riduzione della dimensione dei frammenti (sono sempre più piccoli) e il loro isolamento ovvero la diminuzione della connettività ecologica.
Ma che cos’è la connettività ecologica? è abbastanza semplice da intuire, si può definire come la possibilità di movimento, da parte di un organismo, per spostarsi tra due posti diversi. Va da sè che più aumenta la connettività, maggiore è la possibilità che gli organismi possano muoversi liberamente nell’ambiente. E’ forse un po’ meno intuitivo immaginare quanto sono gravi le implicazioni che una perdita di connettività ecologica comporta, visto che a noi non ci tocca, ovvero perché è poi così importante? In accordo con quanto ci dice la comunità scientifica, che ha iniziato a studiare questo fenomeno partendo dalle teorie della biogeografia delle isole (Mc Arthur e Wilson) e della dinamica delle popolazioni (Hanski), la frammentazione può accelerare i processi naturali di estinzione, ridurre o impedire la dispersione degli individui nell’ambiente (impedendo così gli scambi genetici tra individui di popolazioni diverse) e la colonizzazione di altri habitat, e aumentare i tassi di predazione, di competizione, di parassitismo. Si capisce bene così quale portata può avere questo problema in un ambiente urbanizzato, dove in alcuni casi il territorio è stato trasformato per più del 90%. Chi vive nei pochi frammenti naturali rimasti, deve fare i conti con tutti i problemi derivati dall’alterazione degli habitat e la mancanza di connettività ecologica che qui sono esasperati.
Le città sono dei centri ad alta densità abitativa con un intorno peri-urbano o rurale (in cui è presente qualche frammento di habitat naturale) con un gradiente di antropizzazione che diminuisce man mano che ci si allontana dal centro alle periferie. Qui le opere umane come le strade, le ferrovie, i quartieri residenziali o le aree industriali rappresentano quasi sempre habitat non idonei ad essere abitati e delle barriere alla dispersione. In alcuni casi però degli elementi dell’ambiente urbano possono rivelarsi utili corridoi per il movimento, o rivelarsi nuovi ambienti da colonizzare. Oltre ai centri urbani, un altro fattore di rischio che ha messo a repentaglio gli habitat naturali è l’aumento delle superfici per l’agricoltura intensiva che ha contribuito al disboscamento dei nostri territori, creando paesaggi di monoculture fortemente assoggettate alla produzione agricola e privi di alberi. E’ il caso di molti territori europei in cui sorgono grandi città (si pensi alla pianura padana e ai suoi grandi centri urbani) e che porta a situazioni paradossali (ormai non più così strane!) in cui si trova maggiore biodiversità nei parchi delle città che nella campagna circostante. La presenza ambienti boscati all’interno di aree urbane può permettere ad esempio la sopravvivenza di specie di uccelli forestali, non altrettanto favorita in ambienti agricoli intensivi.
Le aree verdi urbane sono pertanto elementi essenziali per poter garantire connettività ecologica laddove è maggiormente compromessa. Individuare e studiare quali sono le reti ecologiche sfruttate dalla fauna negli ambienti urbani così come anche progettarne e realizzarne di nuove può rappresentare un buon modo per ristabilire l’equilibrio ecologico e per ridurre l’impatto creato dall’urbanizzazione.
Per questo si parla spesso di infrastrutture verdi urbane, ovvero una rete pianificata di aree naturali e semi-naturali di alto valore ecologico che è disegnata e gestita con l’obbiettivo di preservare gli habitat e di connetterli in modo da contrastare la frammentazione e preservare la biodiversità. Infatti si sa, un sistema di aree verdi connesse è migliore di tante aree verdi isolate. Inoltre l’infrastruttura verde per essere davvero tale deve essere multifunzionale. La multifunzionalità si riferisce alla sua capacità di fornire contemporaneamente benefici ecologici, economici e sociali. E’ ormai dimostrato quali e quanti siano i benefici delle aree verdi sul benessere della vita in città, con ricadute anche economiche. I benefici dal punto di vista ecologico sono quelli connessi al corretto funzionamento delle reti verdi, che permettono di essere rifugio per animali o siti di assorbimento di anidride carbonica o inquinanti, e in cui lo stato di salute delle singole piante e specie vegetali è di fondamentale importanza. Anche per questo, una corretta gestione delle piante in città (e in generale di tutto il verde urbano) che sia attenta alle esigenze delle piante in quanto organismi non può che essere di grande aiuto allo stabilirsi di infrastrutture verdi che siano davvero degli elementi di supporto alla conservazione della biodiversità e a una maggiore sostenibilità delle aree urbane.